venerdì 30 gennaio 2015

oh che bel castello....

....oggi eran previsti sino a 4 metri d'onda...donde quando s'è fatta na certa...mi son dato, tavola e Sandocan al seguito..più  per curiosità che con l'intenzione..ho raggiunto il mio luogo d'elezione. Troppo vento, troppa corrente e troppa spuma per tentare la sortita..va bene pure una bella passeggiata guardando le criniere dei cavalloni e respirando iodio e salsedine a pieni polmoni. Al tramonto mi son fermato al castello di SSevera per godermi quel che resta del giorno e trovata una tavoletta portata dal mare aveva lo stesso colore della sabbia e delle mura...e quindi giù con le dita a stendere i colori del cielo e del mare e virare le luci all'arancisato....chissà domani non diventi la mia casa d'adozione.

Santasevera's castell

byby fato

giovedì 29 gennaio 2015

Ma io l'amo...

La guardo dall'alto muoversi sinuosa
la vedo sbuffare smorfiosa
ma io l'amo.....
la immagino preda
su un letto piccante
ma io l'amo....
la guardo ed il desiderio.. sale
..anche al sale non deve esser male
ma io l'amo...
di slancio s'allontana.
Per seguirla m'alzo.. sul pontile scalzo
ma io l'amo...
vado avanti ed indietro convulso e confuso
cerco qualcosa per attrarla, per riavvicinarla
ma io l'amo......ahia.. cazzo l'amo ....
melo ritrovo conficcato sotto il calcagno
e ruzzolo giù nell'acqua a bagno....
lei s'allontana e con l'occhio da triglia
mi dice: "con i sentimenti non si gioca, mi volevi inerme.... sulla griglia
ed ora ti ritrovi in acqua all'amo come un verme"

Che siate pescatori di cuori o di pesci tenete sempre d'occhio gli strumenti ed i sentimenti altrimenti vi ritroverete in brutte acque come deficienti....!!

byby fato(about 2004)
t'amo

un disegnuccio dallo smart book Pesci Story..aquarellato durante una vacanza in Sicilia...

martedì 27 gennaio 2015

La quarta quercia

La quarta quercia ricama il terso cielo della macchia di Macchiarese. Nel rituale e mantrico giro delle sette querce, la quarta giunge quando ormai la mente ha abbandonato ogni bruttura, l'occhio ha obliato la spazzatura al confino fra il comune di Roma e quello di Fiumicino ed il tatto è pronto ad accogliere il sugherosi influssi di questi colossi.


le querce di maccarese



byby quercino

lunedì 12 gennaio 2015

...:"Dissolvenza"......pizza e letture pezzi di pizza con la cipolla e le patate fatte a pezzi di letture




Dissolvenza
- by brusnes -

“Pare sia un bell’uomo sui quarant’anni” Manuela mi blocca all’uscita del portone.


            Sono le otto di mattina e sto facendo tardi al lavoro. Ma non glielo dico. Non ci riesco. Ad ogni incontro ho un sussulto e mi blocco. Da quando l’ho vista la prima volta non so che fare. Nel frattempo sto fermo e aspetto. Prima o poi qualcosa succederà.

            “Fa l’avvocato e non è sposato” continuò incrociando le dita, i palmi rivolti a terra.

           
Questa volta è vero allora, pensai increspando la fronte.

            L’appartamento di fianco al mio è stato acquistato. Era in vendita da tre anni. Da quando i due vecchi che l’abitavano sono morti a distanza di un mese uno dopo l’altra.

            Sono andato a vederlo qualche tempo dopo l’appartamento. Dentro era buio fitto che non potevi pensare fossero le tre di un pomeriggio di marzo. Forse era la densità compatta dell’aria stantia che offuscava la luce e ti si piantava nel cervello. Nel salone sulla parete c’era uno squarcio dal quale fuoriuscivano tubi e cavi, che penzolavano sopra un divano di velluto violaceo consunto. Sul soffitto del bagno una macchia nera abbracciava l’angolo sopra la vaschetta di scarico. In cucina i mobili lugubri in finto noce erano perfettamente intonati al carattere dei due vecchi. E dalle incrostazioni marroni sui muri scorrevano brandelli di carta rattrappita mista ad umori purulenti.

Ho premuto la mano sul naso e sulla bocca a trattenere un conato di vomito. Annaspando, ho cercato la via d’uscita. Mi sono ritrovato catapultato in giardino. Un groviglio di tentacoli verdi offuscavano il cielo. Raspose foglie verde-scuro di nespolo mi invadevano gli occhi e mi penetravano in gola. Stavo per stramazzare a terra. L’uomo dell’Agenzia immobiliare mi ha sorretto e mi ha riaccompagnato sul pianerottolo.

            Pensavo non sarebbe mai stata venduta quella casa.

            “Ma lei l’ha visto?” le chiesi.
            (Perché non riesco a darle del tu?)


            “Ancora no, ma nel pomeriggio verrà con una ditta di costruzioni per dare inizio ai lavori di ristrutturazione”.

            (Ancora mi dà del lei ‘sto coglione.
            E’ da quando sono qui che cerco di stringere una relazione umana con lui, ma è come se fossi trasparente. Cristo, se non gli rivolgessi la parola sarebbe capace, come un fantasma, di attraversarmi senza nemmeno vedermi)           

            “Si faccia bella allora, può essere la volta buona!”
            (Che cazzo sto dicendo!)

             “Ah, ah , ah!”
            (Ma allora è proprio scemo)

             Manuela sorrise, si girò dall’altra parte e si avviò verso l’uscita del portone.       

            Nonostante i proponimenti, gli occhi mi sfuggirono dal controllo e si appiccicarono su quel culo da favola stretto in jeans aderenti. Stava  su tondo e magnetico come quello delle negre.  
            Fu la seconda cosa che mi colpì di lei. La prima era stata un sorriso.
 ***

            Fu alla riunione straordinaria di condominio di un anno fa. Si dovevano approvare i lavori per la sostituzione della vecchia caldaia condominiale. L’appartamento della signora Guerrieri era adibito per l’occasione. L’odore delle crostate alla marmellata d’albicocche si spandeva tra i condomini seduti intorno al tavolo rotondo del salotto. La signora Guerrieri, amministratore ad libitum  con percentuali bulgare di consensi, offriva snack, birra e liquorame vario.

            “Signor Cuomo lo so che preferisce le olive greche, ma assaggi queste. Me le ha portate mia figlia dalla Calabria. Sono più piccole ma anche più saporite. Arrivo signora Martelli, le prendo un bicchiere pulito. Ho visto suo figlio al parco domenica scorsa, signora Corneli. Nonostante quei capelli stava con una graziosa ragazzina e fumava cercando di non farsi vedere. E lei signor D’Oblìo solo acqua come al solito? Nemmeno un goccio di coca cola? Ma non si annoia? Vabbè lo so che deve stare concentrato per redigere il verbale della riunione ma uno strappo alla regola ogni tanto, che diamine!”.

            Il campanello della porta continuava a suonare ad intermittenza ad annunciare i condomini ritardatari. Io stavo col capo immerso nel registro a ricopiare in nuova data la parte introduttiva del verbale.

             “Signor D’Oblìo, li sta contando tutti quei quadretti?” la bocca della signora Guerrieri si chiuse nella solita mezzaluna cadente accentuata dal contemporaneo sollevamento delle sopracciglia.

            La prima volta che le vidi fare quell’espressione fu quando insistei perché il quaderno per redigere i verbali delle riunioni fosse a quadretti. Scrivere su quello a righe mi provocava ansia, come se le parole potessero fuggire via. Nei quadretti invece ogni lettera aveva il suo posto. E’ tutto più rassicurante.

              Vuole inserire tra i presenti anche la signorina Belviso?” la voce si era fatta più dolce.


            Alzai lo sguardo e vidi a fianco della signora Guerrieri un cespuglio di capelli rossi tenuti a bada da una fascia viola e due occhi verdi che mi si avvicinavano tendendo la mano.

             “Salve signor D’Oblìo, mi chiami pure Manuela, ho preso l’appartamento sopra di lei” e la bocca con le labbra rosso rossetto si aprirono in un sorriso di denti bianchissimi e perfettamente allineati.  

            Ovviamente balbettai un malconcio “salve” a labbra serrate e denti stretti e, con lo stomaco invaso da un calore insopportabile, mi ributtai sui quadretti.

            Quando finì la riunione,  mi attardai un attimo a completare il verbale. Richiusi il quaderno e, sperando che tutti fossero già andati via, rialzai la testa. Fu in quel momento che vidi la seconda cosa che mi colpì di Manuela, proprio mentre stava per lasciare casa Guerrieri.

            Tornai a casa con lo sguardo a terra e la fronte a tre spade. Mi sedetti in veranda e guardai fuori. Quel giardino era stato l’elemento decisivo che mi aveva spinto a comprare la casa 5 anni fa. Ma ormai erano mesi che non vi mettevo piede. Quel crescere disordinato di piante ed erbacce mi metteva a disagio. Non riuscivo a controllarlo. Non lo consideravo più parte integrante della casa, ma una partita in sospeso. A volte mi spingevo fino alla veranda, ma lì mi fermavo. Preferivo stare in camera seduto al tavolo di truciolato rivestito in formica bianca. La SOGET srl mi aveva dotato di un portatile con il programma contabile installato appositamente per poter continuare il lavoro da casa. Era rassicurante incolonnare le partite di bilancio nella colonna di destra e poi in quella di sinistra. Quando alla fine del mese gli importi si pareggiavano provavo una soddisfazione sottile. Mai una partita in sospeso. Tutto combaciava alla perfezione. Il consiglio di amministrazione era fiero di me.

           

***        
  Lo sbaam del portone richiusosi dietro Manuela mi fece sobbalzare. Attraverso il vetro zigrinato intravedevo una figura in jeans stretti levare l’antifurto al motorino e indossare il casco.
            Attesi che partisse prima di uscire anche io.      La sera rivarcai in senso contrario la soglia del portone e mentre stavo infilando la chiave nella serratura di casa una voce alle mie spalle mi bloccò.


            “Buonasera, è lei che abita di fronte?”

             Mi voltai e vidi che la porta dell’appartamento di fronte era aperta. Sull’uscio un uomo dalla barba scura incolta  e i capelli radi mi sorrideva. Aveva un metro da muratore in una mano bianca di calce ed un lapis rosso nel taschino della camicia di jeans. L’altra mano, che cercò maldestramente di pulirsi sulla giacca, si protendeva verso di me.

            “Buonasera, sono il signor D’Oblìo” gli dissi ritirando la mano a sistemarmi la cravatta grigia.

            “Allora, fra un pò avrà compagnia. Abbiamo appena iniziato a buttare giù quelle pareti incrostate. All’avvocato piacciono gli spazi aperti. Ma da quanto tempo era disabitata questa casa?”

            Feci il conto degli anni e rabbrividii al pensiero che fra un po’ avrei avuto un vicino.

            “Ma quando arriverà l’avvocato?” dissi

             “Quando avremo finito. Abbiamo definito il capitolato dei lavori nei minimi dettagli. Da quando gli abbiamo ristrutturato l’altra casa si fida completamente di noi, non ha bisogno di starci col fiato sul collo. A fine mese dovremmo riuscire a consegnargli la casa” disse agitando il metro.

            “Quindi l’avvocato ha anche un’altra casa?” gli chiesi.

            “Si, l’aveva. Poi l’ha dovuta lasciare” l’uomo si voltò verso l’interno dell’appartamento.

            “Come mai?” mi sorpresi a domandargli.

            Mi guardò in faccia annuendo “E’ stato costretto. Le ha provate tutte, ma alla fine l’ex moglie è riuscita ad ottenere la casa”.

            “Oddio, e dove vive adesso?” gli chiesi.

            “Oh niente paura, l’avvocato è uomo di mondo. Conosce un sacco di persone. Ora è ospite da una sua amica” mi fece con aria ammiccante sgranando l’occhio sinistro.

            Increspai le ciglia e ritrassi la testa come a difendermi da una minaccia.

            “Ma lei non è sposato, vero? Vedrà che quando arriverà l’avvocato si divertirà” disse continuando ad ammiccare.

            Una leggera nebbiolina si andava posando sui miei occhi. Un senso di spaesamento mi faceva mancare il terreno sotto i piedi. Avevo bisogno della mia stanza da letto, della mia scrivania, del mio pc, ma non riuscivo a muovermi.

            “Mi scusi ora, ma i miei uomini stanno aspettando istruzioni”, per fortuna l’uomo pronunciò queste parole, entrò in un fascio di polvere plumbea e scomparve nell’antro.

            Mi ripresi un po’ ed entrai in casa.         

            La casa mi sembrava più spoglia del solito. La luce tenue del crepuscolo ingrigiva  anche il pavimento in cotto, unica concessione al colore: del resto era opera del precedente proprietario. Entrai in camera da letto. Appesi il vestito e la camicia nell’armadio, la cravatta la lasciai sull’omino di legno. Accesi il pc e lanciai il programma di contabilità aziendale. Le maschere esplodevano in disordinata sequenza, i dati danzavano scomposti, le poste di bilancio mi sfuggivano da tutte le parti. Richiusi il pc e appoggiai la testa sulla scrivania.

            Era capitata già un’altra volta una situazione simile. 
  *** Era la riunione di condominio successiva a quella in cui apparve per la prima volta Manuela.

            Si doveva approvare il bilancio annuale. Lei non si vedeva. Cercavo di rallentare la conta dei millesimi presenti.
            “Manuela mi ha lasciato la delega a rappresentarla. Oggi doveva sostenere l’esame del corso d’arabo. Può iniziare a compilare il verbale sig. D’Oblìo” disse la signora Guerrieri, versandomi acqua non gassata nel bicchiere.
            Aggiunsi i 75 millesimi dell’appartamento di Manuela in coda agli altri, tirai una linea e feci la somma dei presenti: 620 millesimi. L’assemblea era validamente costituita. Abbozzai un sorriso di soddisfazione.
            “Lo sa che è stata un anno ad Aleppo a fare un corso di perfezionamento in lingua e letteratura araba prima di venire ad abitare nel nostro palazzo?” disse sottovoce la signora Guerrieri alla signora Corneli.
            Questa volta facevo fatica a concentrarmi sui quadretti. Ondate di calore allo stomaco mi allontanavano dal registro. Nonostante lo sguardo fosse impietrito a fissarli, non riuscivo a vedere i numeri. Ogni senso era risucchiato dalle parole della signora Guerrieri.
            “Aveva un compagno e un cane prima di partire per la Siria.” mi disse, “Quando è tornata in Italia non li aveva più” continuava la ad libitum.
            “Eh, si sa come sono gli uomini. Sono deboli. Appena incontrano un’altra che gli fa gli occhi dolci non sanno resistere e rovinano tutto” sentenziò la signora Corneli scuotendo la testa.
            “Mi dispiace però per Manuela. E’ così carina, brillante, piena di interessi. Che diamine!”.
            “Eh, non ti preoccupare. Una come lei non avrà problemi a trovare uomini più degni” concluse ammiccando la Corneli.
            Di seguito all’ultimo punto in discussione “varie ed eventuali” tracciai una doppia barra. Poi scrissi “La seduta si è conclusa alle ore 19.45”. Quindi apposi la mia firma in calce e porsi il registro alla signora Guerrieri per la convalida dell’amministratrice.
            “Ma signor D’Oblìo, non ha inserito l’importo delle spese per il riscaldamento. E poi mancano i riferimenti alle voci di spesa” mi guardò incredula.
            “Anche er nostro D’Oblìo perde colpi” sghignazzò il signor Cuomo addentando una fetta di crostata.
            “In effetti mi è parso del tutto assente durante l’assemblea. Non ha neanche preso il suo solito bicchiere d’acqua non gasata” rincarò la signora Martelli squadrandomi con un finto sorriso supponente, il volto piegato di lato e la mano sinistra a formare un arco nell’aria.
            Mi riscossi di colpo. Non potevo credere di essere stato io l’autore di quel verbale. Non mi era mai successo.

***
            Rialzai la testa dalla scrivania e con la coda dell’occhio mi diressi verso l’angolo a lato della finestra. Vidi la cravatta penzolante dal servo muto. Un altro numero fuori posto. La riposi nell’armadio assieme al vestito. Era ormai buio. Dalla finestra intravedevo l’ombra ancora più scura del nespolo che allungava i suoi tentacoli minacciosi sul mio giardino. Abbassai la serranda. 
           
            La mattina seguente mi alzai, tirai su la serranda della camera da letto fin solo ai buchi, mi vestii, feci il nodo alla cravatta davanti allo specchio dell’anta interna dell’armadio, bevvi un bicchiere d’acqua dal rubinetto della cucina e, presa la cartella con i fascicoli contabili, mi avviai verso  l’uscita. Mentre stavo aprendo la porta sentii delle voci provenire dal pianerottolo. Mi misi allo spioncino. Vidi la sig.ra Guerrieri con i bigodini in testa ed un sacco della spazzatura in mano che diceva “...speriamo che sistemi anche il giardino, già quello del sig. D’Oblìo è un’indecenza…Ma poi tu l’hai mai visto in giardino, Manuela?”. “
            Sulle labbra di Manuela un rossetto brillante “No, davvero, mai. Sembra una persona strana, come spenta. Ne ho incontrati così in Siria, ma, in fondo comunque si intravedeva una fiammella. Lui sembra non avere neanche quella. Eppure non posso credere non ci sia proprio nulla sotto quello sguardo vuoto”.
            La vidi allargare le braccia, notai le unghie smaltate dello stesso rosso del rossetto. Richiusi lo spioncino e aspettai ad uscire.      
           
            Contavo i giorni mancanti alla fine del mese previsto per la fine dei lavori, cercando di evitare il più possibile contatti con il capo mastro.
           
            Una sera tornai dall’ufficio con il dischetto della contabilità del mese da caricare sul pc. Un fremito di impazienza mi spinse a non far caso alla porta aperta nell’appartamento di fronte.
            “Salve dottor D’Oblìo, abbiamo finito, ha visto? Tutto come previsto” l’uomo col metro da muratore conficcato nella tasca della giacca di velluto marrone era visibilmente soddisfatto “ora avrà un nuovo vicino”.
            “Buonasera, ma quando arriverà?” gli chiesi con un filo di voce.
            “Questa sera stessa. Lo sto aspettando per il saldo dei lavori e per aiutarlo a fare alcune rifiniture nel giardino. Vuole dare un’occhiata alla casa nel frattempo?”
            “No, no grazie” mi ritrassi nella borsa di pelle sdrucita come a cercare documenti importanti “devo sistemare alcune cose a casa mia. Arrivederci”
             
            Mi richiusi la porta alle spalle e, contro ogni istinto ad allontanarmi il più possibile, mi fermai. Posai la borsa sulla scarpiera laccata bianca di fianco alla porta e appoggiai l’occhio allo spioncino.
            La tensione si sciolse in uno sfuggente sorriso al suono del rassicurante sciabbattare della signora Guerrieri. Prima che apparisse nel mirino non faticai ad immaginarla, come ogni giorno dall’arrivo della primavera, fermarsi, innaffiatoio in mano, davanti ai vasi di ficus benjamin che con tanto orgoglio ha fatto mettere nel pianerottolo dell’entrata “questo palazzo deve sembrare signorile, che diamine!”. Poi controllare una per una tutte le foglie e infine imprecare “se prendo quello stronzo che si diverte a rovinare le piante…ci sono i segni delle unghiate sulle foglie ...vede…che divertimento è questo…se continua così me le riporto a casa”. Infine risciabbattare sulle scale con le tasche della vestaglia viola imbottite delle foglie danneggiate.
            Dopo un po’ nel mirino apparve la capigliatura rasta del figlio della signora Corneli, subito seguito dal sig. Cuomo che lo inchiodò prima che prendesse le scale “Ah Dario, meglio che aspetti ad andare a casa. Con quella fiatella de fumo che te se sente tu madre te crocchia”.
            Ormai era buio e io stavo sempre inchiodato dietro lo spioncino. Per stare più comodo mi ero seduto su una sedia con lo schienale appoggiato alla porta e il viso sulla spalliera. Il click meccanico dell’apertura del portone mi scosse. Un labrador zampettò sull’uscio di fronte appostandosi col muso di fronte alla porta. Il padrone di spalle stava tenendo aperto il portone per qualcuno che stava arrivando. Nell’altra mano un guinzaglio ed una borsa celeste pquadro.

            “Grazie mille” la voce di Manuela la precedette nel mirino, casco in mano e capelli sciolti. Cominciai a sudare, chiusi lo spioncino e mi allontanai in casa. Andai in camera da letto accesi il pc e inserii il dischetto. Lo tolsi subito, spensi il pc e cercai di dormire.
“klang, klang,  stump, stump!”

            Sobbalzai dal letto.
            “Klang, klang, stump, stump!”
            I rumori sembravano provenire dalla stanza adiacente.
            “klang, klang, stump, stump!”
            Un ladro non farebbe tutto questo chiasso, cercavo di razionalizzare. Sarà il camion della spazzatura.
            “klang, klang, stump, stump!”
            Il rumore sembrava vicinissimo. Non poteva essere il mezzo dei netturbini. Mi alzo/non mi alzo. Alla fine mi avvolsi nelle lenzuola inzuppate di sudore freddo e mi trascinai furtivo verso la finestra. Si udiva ora un calpestio alternato ad  ansimi da sforzo. Non osai alzare la serranda. Tornai a letto e scomparvi sotto le coperte.

            “Oddio che faccia, ma che è successo?” mi fece Manuela l’indomani mattina sul pianerottolo.
            Lo sapevo, proprio in questo stato la dovevo incontrare, pensai sollevando la testa, occhi al soffitto.
            “Non sono riuscito a dormire stanotte” le risposi.
            “L’hai visto?” Il suo volto si illuminò.
            “Visto chi?” mi passai la mano sulla testa.
            “L’avvocato! Ha preso possesso ieri della casa. Ha anche un cane bellissimo. Si chiama Buck ed è proprio buono, non abbaia mai” sembrava davvero entusiasta.
            “Ah si!” abbassai lo sguardo e vidi la borsa di pelle marrone sdrucita pendere dalla mia mano destra. La mano sudava e sentivo scaglie di cuoio appiccicarsi ai polpastrelli.

            La sera stessa rientrai a casa e mi sedetti a tavola in veranda. Di colpo una luce illuminò il giardino. Il pezzo di pizza al taglio restò sospeso a mezz’aria abbarbicato alla forchetta. Misi giù la forchetta e mi accostai alla porta a vetri. La luce non proveniva dal mio giardino.
            “Deve essere lui” mi dissi.
            Con circospezione uscii. La porta finestra di accesso al giardino cigolava come quelle delle case abitate dai fantasmi. Appena oltre la soglia mi sentii chiamare. Dietro il muretto di recinzione un braccio ondeggiava invitando ad avvicinarmi. In effetti era un bell’uomo. Abbastanza alto, gli occhi chiari e penetranti, la barba ben curata che gli segnava il perimetro del volto a dare un’idea di spigliata  risolutezza.
            “Caro vicino, finalmente ci conosciamo” disse tendendo il braccio oltre il muretto attraverso una fessura della rete metallica. Gli strinsi la mano e buttai lì un “piacere” strozzato, tentando di sottrarmi alla stretta micidiale.
            In quel momento il muso di un feroce labrador si avventò sul muretto abbaiando verso di me.
            “Buono Buck, è il nostro vicino” il cane si calmò subito mentre lo accarezzava “fate amicizia, su. Accarezzalo anche tu, in genere non abbaia mai. Chissà, sarà la nuova casa”.
            Io indietreggiai terrorizzato. Senza avvicinarmi guardai nel suo giardino. Il nespolo era stato potato, il terreno ripulito e piastrellato. Sotto l’albero c’era un tavolo con una tovaglia, una scodella di insalata, un piatto con una fetta di pesce spada, un melone e una bottiglia di vino bianco.
            “Vedo che ha apparecchiato fuori”.
            “Eh si, mi piace stare all’aperto. E poi voglio godermi il giardino dopo averlo sistemato. Era conciato come il tuo appena sono arrivato. Perché non gli dai una ripulita?”
            “Ha ragione, mi dico sempre che dovrei fare qualcosa ma poi mi passa di mente. E’ come se non trovassi mai il tempo” gli dissi e feci per eclissarmi.
            “Su su, se si vuole veramente una cosa il tempo per farla si trova” mi disse.
            Mi bloccai e rimasi a fissare il suo giardino e poi girai lo sguardo verso il mio.
            “Perché non viene a mangiare da me? L’insalata è troppa per me solo e il pesce spada lo possiamo dividere” continuò l’avvocato aprendo le braccia.
            “No no la ringrazio, ho già pronta la cena. Arrivederci” balbettai e mi rintanai in casa.   

***
       

            “Klang klang stump stump”
            non riuscivo ad addormentarmi
            “klang klang stump stump”
            ma perlomeno ero più tranquillo
            “klang klang stump stump”
            anche se stavolta i rumori li sentivo ancora più vicini.
            “klang klang stump stump”   
            Rimasi comunque sotto le coperte finché gli ultimi colpi non cessarono e mi potei addormentare. La mattina uscii senza nemmeno alzare la serranda

            “Lo sai che mi ha invitato a vedere il giardino nuovo?” Manuela era raggiante quella mattina sul pianerottolo.
            “A casa sua?” la mia voce tremò mentre lo sguardo si inabbissò.
            “E di chi allora?” disse sollevando gli zigomi e allungando la fessura tra le labbra.           Uhmmm! Il blocco di cemento ha avuto un impercettibile cedimento?
            “Dai, magari invita anche te. Ciao eh” disse e caracollò via.

            Tornai verso casa che era ormai buio. Meglio restare in ufficio fino a tardi godendo dell’aria condizionata e uscire poi col fresco della sera. Diedi la solita occhiata distratta alla buca delle lettere. Nella mia non c’era nulla, ma in quella dell’avvocato vidi una cartolina. Non era di cartoncino, ma di plastica. Un sole stilizzato si affacciava dalla fessura e illuminava il pianerottolo. Strinsi la cartolina tra il pollice e l’indice. Il sole appariva in rilievo sopra una morbida trasparenza. Sbirciai sul retro. Un pennarello rosso tracciava segni ampi e rotondi intervallati da smile e nuvolette con dentro punti esclamativi e piccoli fulmini. Sicuramente era una donna. Rimisi la cartolina nella buca. Non ebbi il coraggio di prenderla in mano e leggerla. Entrai in casa e senza accendere la luce gettai la borsa con le pratiche d’ufficio sul divano. Mi girai verso la veranda. Un bagliore bianco filtrava da fuori. Mi avvicinai e rimasi col naso appiccicato sul vetro e la saliva secca. Dalla bocca rimasta aperta fuoriusciva un’involontaria esalazione che si condensava in piccole goccioline. Il muro di divisione che separava il mio giardino da quello dell’avvocato era scomparso. Da quest’ultimo partiva un sentiero di dischetti di cemento di vari colori che arrivava fino alla mia veranda. Ai lati Manuela e l’avvocato stavano sistemando gli ultimi due lampioncini verdi. Sorridevano. Non si erano ancora accorti di me. Inserirono contemporaneamente le lampade alogene dentro i due prismi di vetro, apposero la copertura e alzarono gli occhi. La luce ora era più intensa e i nostri sguardi si incrociarono.
            “Oh, vicino, che fai là dietro? …. Sembri un fantasma, vieni fuori” disse l’avvocato.
            “Dai, vieni a vedere come è bello adesso fuori” aggiunse Manuela.
            Aprii la veranda e mi guardai intorno. Non riuscivo a riconoscere il mio giardino, ma era ancora mio? Gli alberi potati, l’erba tagliata, scomparse le cartacce, le mollette dei panni, le buste di plastica, i bicchieri di plastica, i tappi di bottiglia, i mozziconi di sigaretta e le altre robacce che lo deturpavano. Al centro del sentiero c’erano due aiuole con boccadileone e lavanda. Quel profumo pulito soffiò tenere carezze sulle mie mascelle indurite.
            “Ma come avete fatto?” balbettai
            “Ti piace?” disse lei.
            Aveva i capelli raccolti dietro, in una fascia viola che le cingeva il viso. Si sedette su una panchina che non avevo notato prima.
            “Pensavamo di organizzare una festa per sabato prossimo. Lo spazio è così grande ora” disse l’avvocato.
            Deglutii e feci per tornare dentro la veranda.
            “Si, potremmo anche mettere della musica e ballare” le fece eco Manuela.
            “Io, io …. devo andare al paese a trovare i miei genitori nel fine settimana” dissi.
Poi mi girai verso la veranda e mi chiusi dentro.

***

lettori e scrittori

            La settimana successiva mi trascinai col trolley fino a casa. Entrai nel portone e mi fermai davanti alla porta dell’avvocato. Fissai lo zerbino. Mi piaceva quello zerbino. Era un’enorme coccinella verde con i puntini verde scuro e le antenne che rompevano con la loro fuga l’armonia e le proporzioni della sagoma. Mi portai le mani sul volto e il mondo si fermò in sospensione per qualche secondo …. per precipitarmi addosso subito dopo. Mi scossi a fatica e feci quei due passi che mi separavano da casa. Girai le chiavi nella serratura e spinsi la porta in dentro.
            Sbammm…
            La richiusi subito facendo un salto all’indietro sul pianerottolo. Dentro casa un fascio inaspettato di luce giallastra tagliava la parete del corridoio, trasportando sul proprio riverbero un flebile chiacchiericcio e un cane che mi si avventava abbaiando contro.
            Rintanato sul pianerottolo, cominciai a sudare freddo. Gettai gli occhi per terra. Il pavimento sembrava mi girasse intorno tracciando avvolgenti spire paraboliche. Cercai di fermarlo concentrandomi sulla soglia di casa. Non riuscivo però ad aggrapparmi a nulla. Io non lo avevo uno zerbino.
            Passò qualche secondo e la porta di casa mia si aprì. L’avvocato indossava un grembiule arancione sopra una camicia bianca “Ma …. eri tu? Perchè hai sbattuto la porta? Entra”. Lo seguii. Un odore di soffritto mi accarezzò la gola. Effluvi speziati  coloravano di oriente le pareti dell’ingresso, morbide fragranze che mi scioglievano i muscoli dello stomaco. Cous-cous. Avevo visto in tv famiglie intere madri-padri-figli-nonni-zie-cugini-fidanzati-sposi-guerriglieri-imam-pastori-funzionari-mercanti e parole-musica-suoni-odori-grida-bisbiglii-silenzi-barbe-seni-turbanti-veli-gambe-braccia intorno all’enorme piatto comune e mani  nude-callose-liscie-grasse-morbide-affusolate-piccole-scure-screpolate-chiare-decorate con ennè che scavavano crateri nella montagna di chicchi fumanti, raccogliendo porzioni di condivisione che mescolavano tra le dita e conservavano dentro le viscere. Da quanto non compravo cipolle?
           
            Appoggiai il trolley da un lato sulla parete del corridoio e chiusi gli occhi. La pelle vibrava di sensazioni. La testa era soffice e leggera. Seguii il naso. Per un attimo il terreno sotto i piedi era scomparso. Levitavo? Riapersi gli occhi all’entrata della veranda.
            Due stivali neri accavallati sulla panca preannunciavano un volto nascosto da lunghi capelli neri dai quali fuoriuscivano cerchi di fumo. Sotto gli stivali un muso di Labrador si strofinava sul pavimento con la coda che oscillava come un metronomo, ritmicamente felice. Di fianco una ragazza con i capelli ricci e rossi spargeva le sue lentiggini sul tavolo a fare spazio per l’arrivo delle pietanze.
            Entrai in veranda. In quel momento il cane abbaiò.
            “Buono Buck” lo accarezzò la donna e il cane si calmò subito.
            Poi guardai nel giardino illuminato. Dalla capigliatura di Dario fuoriusciva fumo denso. La madre al suo fianco parlava con il signor Cuomo.
           
            “E’ arrivato finalmente? Si tolga quella cravatta e si unisca a noi” mi fece la signora Guerrieri posando un vassoio colmo di insalata sul tavolo.
            Al suo fianco un uomo con una calvizie incipiente versava del vino rosso su un calice stretto tra le dita smaltate di una donna in tailleur blu. “Versa, versa, ma non dirmi niente. Scommetti che indovinerò che vino è e quale cantina lo produce?” diceva la donna con voce calda da nera, mentre si girava dall’altra parte per non vedere l’etichetta sulla bottiglia.       
            Poi la vidi. Stava entrando in veranda dal giardino reggendo un cabarè con un completo da thè. Le dita con le unghie smaltate di verde stringevano la teiera d’argento in un delicato movimento che mi accarezzò l’anima. Versò il thè che odorava di menta in bicchieri dai vetri violacei sui quali frondosi disegni floreali creavano magie dorate. Gli occhi azzurri erano diventati di un blu profondo che sembrava riflettere il viola dei bicchieri. Mi concentrai ferocemente a cercare qualche parola da dire. Volevo fortissimamente parlare per primo. Schiusi le labbra, ma appena stavano per fuoriuscire abbozzi di suono me li ringoiai di colpo. Una mano si posò sulle mie spalle tagliando ogni via d’uscita “Allora vicino, hai visto come sta bene Manuela con quella camicia verde che le ho regalato?”
            Un fiotto di pece nera si sparse sugli orifizi della mia pelle occludendo ogni emozione. Mi sentii svuotare. La testa prese a girare.

            “Devo andare un attimo in bagno” dissi. Mi diressi invece verso la porta di casa. La aprii e me la richiusi alle spalle. Appoggiato con la schiena alla porta guardavo su il vuoto di un grigio indistinto. Poi abbassai lo sguardo e vidi una macchia verde sfocata. Mi avvicinai allo zerbino. Con il palmo della mano ne tastai la morbida consistenza. Mi sedetti sopra e chiusi gli occhi. Poi presi le antenne, me le avvolsi sulle spalle e cominciai a ruotare sotto di esse.  Mi accucciai giù, la testa tra le gambe, mentre continuavo ad avvolgermi dentro lo zerbino. Feci un caldo respiro …  e scomparvi.



sabato 10 gennaio 2015

Tramonto in baietta

tramonto in baietta

Chi era in acqua ha potuto accarezzare le onde...chi era fuori ha potuto vedere la luce del sole accarezzare il mare.

byby fato

Il passo delle tre querce

Una deviazione standard dal giro delle sette querce della macchia di macchiarese conduce allo sconosciuto passo delle tre querce.
Un passo mai passato in passato che porta come presente la scoperta di un altra quercia, per posizione, magnitudine, articolazione e panorama, meritevole a pieno titolo di esser noverata..come "Ottava quercia!".
Un giro intorno, un girotondo, una ascesa fra le chiome, una discesa nell'interim, scelta la prospettiva giusta: la prospettiva Nevsky, polpastreelli e pastelli ecco il passo delle tre querce..

la macchia di maccarese


 Dopo un po è sopraggiunto un leggero torpore...cullato da un caldo tepore ed il passo ha aperto la porta alle più strane apparizioni...

..dopo i flori ecco i fauni...volpi con pettinature alla Samantha Fox ,..grilli che finalmente si tacciono, ..ricci che chiedono ad una porchetta: "dov'è A'riccia?",.... cinghiali che cascano a pennello e draghi che dragano i raggi del sole.
Al raggio dell'ultimo sole s'è assopito un disegnatore con un solco lungo il foglio come una specie di...una repentina zampata del nostro piazzata al centro del foglio..spazza via  tutto : "..che te sei fumato?" Sembra chiedermi con gli occhi di chi ha visto tutto.

byby il quercino..

martedì 6 gennaio 2015

C'è tavola e tavola


Se ci sono le onde, c'è il sole, l'acqua non è poi così fredda e tu non ti sei portato la tavola da surf....
c'è un solo modo per non rosicare...farti una bella passeggia lungo il mare chiacchierando con un amico ed appena trovi una tavola arenata fra gli scogli..iniziare a stendere i colori..

byby fato

venerdì 2 gennaio 2015

Thorn....

Scorrendo facebook mi son imbattuto all'interno di un post sull'utoolseria in una splendida interpretazione del martello di Thor che trovate in originale su questo link:
 http://static.comicvine.com/uploads/original/7/73958/3903566-tumblr_static_mjolnir.jpg
guardando il fuoco, fumo e fiamme sprigionate alle spalle del Nostro, non ho resistito a pennellare questo piccolo inciso aggiungendo un infimo livello:



L'inciso sul martello è ispirato ad un postit lasciato sulla scrivania qualche tempo fa quando castagne, castagnacci e tric e trac mi costrinsero ad abbandonare la posizione pesantemente difesa:



bybyfato

 

Renzi versus Napolitano

discorso del presidente della Repubblica Italia marcia


byby fato

Vigili alla vigilia

capodanno dei vigili

byby fato

giovedì 1 gennaio 2015

Squarcia la quercia...

quercia che squarcia le coercizioni disegno


Squarcia la quercia ogni coercizione della mente: nel rituale e mantrico giro delle sette querce della macchia di Macchiarese questa è la quinta: le sue proprietà?.. Si perdono a vista d'occhio.

byby quercino